Prima, parte integrante di un gruppo, poi spalla e oggi solista. Una carriera, quella di Antonio Righetti, basata sull’arte dell’incontro, della raccolta di storie, di abbracci empatici con ogni sguardo incontrato, nulla lasciato al caso, ma neppure calcolato, semplicemente sensibile e innamorato di ciò che fa. Un nuovo Righetti, diverso da quello che ha visto nascere i Rocking Chairs e ancora, diverso da quello che accompagnava Ligabue nel suo periodo d’oro, una persona nuova che ha accettato a pieno la sfida di mettersi in gioco, ha raccolto il guanto e ha cominciato a giocare con se, con la musica e con i suoi lati oscuri.
Cominciamo subito parlando di te e della tua carriera, moltissime collaborazioni, l’impegno con i Rocking Chairs, il lavoro fatto al fianco di Ligabue, tutte queste cose possiamo leggerle su Wikipedia, ma cosa non è stato detto delle tue collaborazioni e dei tuoi lavori che vorresti invece fosse messo alla luce?
Qualcosa che probabilmente non è stato detto, è come, queste cose, siano state una grande opportunità per me come essere umano e come musicista. Ogni incontro con questi personaggi che hai citato, dai Rocking Chairs sino, ad arrivare a Luciano, passando da tutti quelli con cui ho avuto la possibilità di collaborare come musicista sono, prima di tutto, degli incontri molto importanti con persone che hanno una sensibilità molto elevata, molto simile alla mia, con dei racconti, con delle storie da portare in giro che hanno sempre trovato il mio interesse. La cosa che mi preme sottolineare è come questi incontri e frequentazioni musicali, ma non solo, siano il carburante per vivere la musica come piace a me in un modo che amo definire quotidiano, cioè non in una accezione da evento ma come una cosa di tutti i giorni.
Come un qualcosa che fa parte della tua vita?
Sì, che tutti i giorni, trova una sua esplicazione in modo differente, a volte con delle cose con molte persone, altre volte con delle cose molto piccole ma molto significative. Non è importante la quantità ma la qualità.
Un album solista, la scelta di distaccare il tuo basso dal solito ruolo di spalla e dargli lo spazio che merita, perché questa scelta, adesso?
Perché probabilmente se avessi evitato di raccogliere questo virtuale guanto di sfida che mi è stato lanciato o che mi sono lanciato da solo, sarei stato male, nel senso che erano cose che premevano per essere raccontate. Questi anni sono degli anni molto difficili e molto variegati dal punto di vista dell’offerta. Credo che, mai come ora, i negozi di libri e di dischi – quei pochi rimasti – sono pieni di opere; nel senso che si è assistito ad una proliferazione di uscite discografiche, di uscite letterarie, uscite di qualsiasi tipo e non è facile stare a reclamare l’attenzione che queste cose richiedono ma fondamentalmente credo che la cosa vada oltre la necessità di avere un pubblico. La necessità, è quella di raccontare queste storie sperando che qualcuno possa trovarle interessanti o utili soltanto per stare meglio, rilassarsi o soltanto per ascoltare una storia. Questa è una motivazione sufficiente per accettare le “difficoltà” di diventare solista.
Parliamo del tuo rapporto con Sara Del Popolo, autrice dei testi di quest’album, come nasce?
E’ un sodalizio artistico che oramai è in piedi da un paio di anni, Sara mi ha invitato a scrivere delle canzoni su dei testi che lei aveva già scritto, era una cosa verso la quale non mi sentivo assolutamente titolato e neanche capace di accettare, ma con insistenza e con i suoi modi ha trovato il modo di coinvolgermi ed abbiamo iniziato. Sono io il primo a credere e a riconoscere che questa collaborazione e ciò che ne poteva nascere, aveva senso di essere e aveva valore, riconosciuto ciò, ho trovato il modo di coinvolgere i miei collaboratori musicali come Robby Pellatti, Mel Previte, Federico Poggiopollini e tutti quelli che mi hanno aiutato a portare a casa questa cosa qui; insomma credo che sia venuta fuori una parte di me che ancora non era uscita, legata probabilmente al fatto di non cantare su canzoni mie, cosa che avevo fatto fino ad allora, questa volta mi ha liberato sotto un altro punto di vista per cui la ritengo una collaborazione interessante e che ha dato dei buoni frutti.
Una sfida su una sfida quindi?
Un’ulteriore sfida, credo che sia un termine che non mi dispiace, nel senso che rappresenta anche un indice di combattività, io non ho ancora abbassato la guardia. Credo che sia ancora il momento, soprattutto di questi tempi, di tenerla alta e di portare in giro un’idea di fare musica che sia un’idea qualitativa, che se ne frega anche un po’ del mercato e che vada avanti con tutta la sfrontatezza del caso.
Angeli e Demoni, il conflitto, gli opposti che si respingono e si attraggono, cosa rappresentano e fanno da apriporta a quali argomenti?
Gli argomenti sono svariati, uno di questi è rappresentato dal rapporto tra la parte maschile e femminile che alberga in ognuno di noi a prescindere che siamo maschi o femmine. Dentro di me c’è una parte femminile che lotta con quella maschile dentro di te c’è una parte maschile che lotta con quella femminile ed è una lotta, diciamo, tra la parte più luminosa con quella un pochino più oscura senza voler dare delle accezioni di valore, è una lotta che m’interessa, perché è quella che mi ha ispirato. Per me gli angeli e i demoni sono, che ne so, Bob Dylan, Jonny Cash, Jack Kerouac o Ernest Hamingway, sono quelli che hanno una parte angelica, che te li fa vedere come isolati dal resto del mondo per una loro capacità di empatia con la gente e di elevazione verso la gente e al tempo stesso dentro di loro conservano una parte oscura che fa anche un po’ paura. L’idea era di raccontare questo mondo di contrasti ed io ho un mondo molto mediterraneo al quale sento comunque di appartenere, nonostante le amarezze e difficoltà, che la nostra nazione ci impone, credo che sia una nazione ancora molto viva, molto importante e interessante più per quelli che non ci abitano che per quelli che ci vivono come me. Quelli che ci vivono come me ci si devono confrontare come tutti noi con le nostre inadeguatezze, con la nostra idea, un po’ vecchia, di città, le nostre poche regole e rimanere un po’ basiti di fronte a quello che succede a volte all’estero la dove manca però un po’ il nostro spirito più fantasioso, caldo e un pochino più sensibile.
L’album è uscito da già da un po’ di mesi, hai avuto i risultati sperati? Ammesso che tu ti fossi prefissato degli obbiettivi.
In generale, i risultati sono stati superiori alle aspettative. Chi fa musica, come me, senza appoggiarsi a nessun gruppo o lobby, perché esistono e sono sotto gli occhi di tutti, c’è una lobby di mercato, c’è una lobby pseudo qualitativa e sono tutte legate a dei grandi gruppi, a volte gruppi editoriali molto potenti ed io non appoggio nessuna di queste, per scelta e necessità. L’industria discografica in Italia è completamente rasa al suolo da anni per il predominio della televisione sul lancio della qualità e ti devi inventare discografico di te stesso ed io, di conseguenza, aspettative su questo disco non ne avevo, chiaramente le aspettative di reazione a quest’opera sono state superiori a quelle che mi sarei mai aspettato è uscita una parte del mio fare musica che non era conosciuta. Dal punto di vista dei numeri, io sinceramente non sono uno di quelli che rimane li, ad aspettare, probabilmente mi deprimerei (sorride n.d.r.) però, ti posso già anticipare che stiamo pianificando la registrazione del prossimo disco abbiamo trentadue o trentatré provini già definiti, per cui abbiamo continuato a scrivere, c’è un disco che preme già per uscire e che uscirà quest’anno, credo di continuare su questa strada qui.
Come abbiamo già detto, tu “nasci”, così come anche lo strumento che suoni, come spalla. In Italia sei conosciuto come la spalla del miglior periodo di Ligabue, ad un certo punto si è rotto qualcosa, cosa?
No, rotto no, le logiche che regolano i rapporti personali, con le persone con cui hai un minimo di creatività in più, nel senso che le logiche sono un po’ quelle di quando ti molli con una fidanzata. C’è un primo momento molto difficile da accettare sia da una parte che dall’altra è difficile, poi rimangono, non proprio i buoni ricordi, ma anche li non so, io difficilmente vado a riascoltare ciò che ho fatto cinque o sei anni fa, ma anche quello che ho fatto un anno fa, Angeli e Demoni non l’ho più ascolta da quando ho chiuso il mix anzi mi è capitato di riascoltarla quando abbiamo fatto il video, ma non è che mi piace molto ascoltare le mie cose. Con Luciano cosa si è rotto non lo so, non credo che si sia rotto qualcosa, sennonché le cose hanno un loro percorso, svolgimento ed hanno un loro tempo. Noi abbiamo fatto una stagione straordinaria e abbiamo fatto un percorso che credo sia unico per com’è messo il mercato adesso. Per questo il momento giusto era quello lì, lo abbiamo fatto con la necessaria illogicità ed anche incoscienza del caso e rimangono i dischi, la musica, le canzoni che conosciamo e chiaramente è normale che io sia visto come quello che ha suonato con … però chi sa magari tra un po’ capiterà anche a lui di sentirsi dire tu sei quello che ha suonato con (sorride di cuore n.d.r.). Un domani qualcuno sarà abbastanza spiritoso da dirgli “senti ma tu …” magari può essere un suggerimento per distinguerti dagli altri, un domani, se ti capita di intervistarlo gli dici: “ma tu sei quello che ha suonato con Rigo Rigetti”.
Aggiungo questa piccola parentesi: secondo me quando voi eravate al suo fianco, avete dato vita a quello che è stato il periodo migliore di Ligabue, potrei anche sbagliarmi.
Ma non so, lo dicono in tanti, e di certo non sarò io a dire che non è così, però è anche vero che molto spesso me lo dicono persone che, io ho 49 anni, hanno dieci anni meno di me e me lo dicono come se cominciassimo ad essere nostalgici dei nostri vent’anni. Succede, ma dopo aver intrapreso una mia piccola carriera come solista ho capito quanto le mie motivazioni di fare musica siano più forti di qualsiasi altro legame, di conseguenza capisco che Luciano ha avuto la necessità di scompaginare le carte in tavola e per fare questo non è che potesse dire che ok lo faccio tenendo il gruppo che tenevo prima, ha dovuto chiudere una saracinesca per poter aprirne un’altra.
Ovvio, il cambiamento di Luciano doveva coincidere con il cambiamento di tutti e questo non poteva accadere.
Non coincidono mai, credo che abbia fatto un nuovo lavoro molto bello, Luciano è uno che sa scrivere molto bene in italiano, sa scrivere rock, che è molto difficile in un momento come questo ove il termine stesso ha perso completamente di significato e il significato è quello di diventare un etichetta in uso ad alcuni guru della moda che lo utilizzano per scopi non ben definiti e chiaramente il mio occhio sulla musica italiana è molto negativo, molto critico, soprattutto sull’importanza della musica rispetto al testo. In Italia siamo schiacciati dall’importanza del testo rispetto alla musica io invece credo che andrebbe riequilibrata questa roba qui anche perché molto spesso si sente dire che si sono persi gli argomenti, è una valutazione, un pochino più globale la mia.
Un’ultima domanda prima di salutarci, forse un po’ complessa, Itunes, piattaforme digitali, internet ecc ecc, com’è cambiata la musica, cosa ne pensi dei nuovi metodi di fare musica, un po’ mordi e fuggi e ovviamente dei giovani pionieri di quest’epoca musicale?
Sinceramente vedo questi anni qui come degli anni di grande opportunità, opportunità principe che mi viene alla mente è quella legata a me io a casa posso farmi dei provini nel mio studio domestico che sono assolutamente attendibili per quel che riguarda i termini di registrazione, a volte alcune delle cose che io faccio in grande relax a casa mia arrivano a finire dentro i dischi, una cosa impensabile all’epoca di “Buon compleanno Elvis” quando ancora registravamo su nastro e basta. Detto questo. Il resto è in mera costruzione nel senso che è inutile nasconderci dietro un dito ho lavorato prima di diventare professionista della musica suonata come commesso in un negozio di dischi era la cosa più vicina al fare musica che potessi trovare per cui ci ho lavorato a lungo. I negozi di dischi non esistono più, ed erano una delle cose fondamentali, adesso esiste una grandissima distribuzione che è quella che ti fa trovare in questo momento i quindici dischi che vendono Italia, ma non ti fa trovare assolutamente tutto il resto, se tu vai in un negozio di dischi della tua città o in un ipermercato, il mio disco difficilmente lo troverai.
Beh forse a Roma sì o nelle grandi città?
Forse a Roma sì, però guarda devi avere abbastanza fortuna e trovare uno che segua le mie cose ma non perché io faccio avanguardia, perché le logiche di distribuzione sono in trasformazione, tu parlavi dei Rocking Chairs, noi avevamo trovato una distribuzione con EMI e con loro avevamo trovato dei buoni punti di distribuzione ed eravamo un po’ ovunque invece oggi nei negozi trovi solo i dieci dischi che vendono e basta, la gente ascolta i miei pezzi ma di ritorno non vedo niente. Le opportunità che ci sono adesso sono buone, adesso si può fare autopromozione, basta guardare ai social network (io sono ben presente) ma è molto più dura di una volta nel senso che c’è una armonizzazione delle prerogative finanziarie delle persone dovute anche alla crisi, la gente spende ancora ma spende in maniera oculata. Ogni settimana, tu sei del settore, quanti dischi ti arrivano da recensire?
Troppi, tanti, a dire il vero più brani singoli che album.
Certo, perché l’album ha perso un po’ il senso di essere, è un momento speriamo trasformativo, cioè che prelude ad una sistemazione che nei prossimi anni avverrà, soprattutto se prima di tutto si sistemeranno alcune cose che sono un pochino a monte del nostro operato, se dal punto di vista dell’economia si sistemeranno alcune cose probabilmente potrà ripartire, chiaramente appena varco il confine della musica vedi un importanza della vita delle persone un po’ più elevata come il benessere delle persone, le persone si trattano meglio, ascoltano più musica, leggono più libri mi sembra può essere che io stia generalizzando le ultime file alla cassa dei negozi di dischi le ho viste in Francia, in Inghilterra, in Italia ne vedo molto poche sinceramente e si spende veramente poco per la cultura.
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