Francesco Di Giacomo. Musica e idee che vivono oltre la morte.

La notizia della morte di Francesco Di Giacomo ci arriva nella tarda serata del 21 febbraio, quando i social network cominciano a diffondere in rete ricordi, note, emozioni e coccodrilli telematici. Fa quasi impressione, notare l’affetto per questo personaggio da parte di persone di tutte le età, soprattutto considerando il suo carattere schivo e il fatto che, in un mondo di musica da rapido consumo, come un panino del Mc Donald, brani complessi e articolati come quelli del Banco Di Mutuo Soccorso, di cui è stato la voce dagli anni ’70 a oggi. Sono, oggi, assolutamente fuori dalla logica di mercato e, di conseguenza, raramente passati nelle radio. Forse il miglior tributo che possiamo offrire alla sua imponente figura di vocalist ed artista a tutto tondo, è cercare di ripercorrere in queste righe la sua epopea terrena ed offrire spunti di ascolto che possano attrarre l’attenzione dei più curiosi. Nessuno rimarrà deluso nell’ascoltare o riascoltare i vocalizzi di Francesco Di Giacomo, aggrappati alle armonie delle tastiere di Vittorio Nocenzi che s’intrecciano con le chitarre distorte di Rodolfo Maltese, il tutto sostenuto da una sezione ritmica mai banale. Salutiamo Francesco perdendoci nell’alchimia musicale del Banco del Mutuo Soccorso, nei labirinti di note, nei cambi di tempo propri di quegli anni fecondi d’idee, sogni ed emozioni che sono stati i seventies in Italia.

francesco di giacomoFrancesco Di Giacomo nasce a Siniscola in provincia di Nuoro nel 1947 ma si trasferisce presto a Roma. La sua era una voce con colori tenorili molto evocativa e teatrale, e si confaceva perfettamente a quel tipo di musica che cominciava a prendere piede oltremanica e che qualcuno etichettò come Progressive Rock. Il rock perdeva parte della sua carica selvaggia ed incalzante, e si evolveva in atmosfere rarefatte, rotte da intrecci strumentali di un virtuosismo sconosciuto fino a quegli anni. Era sicuramente un predestinato, amava spesso raccontare che il suo primo concerto lo tenne alla scuola delle suore del Pigneto a Roma, all’età di quattro anni, ed il buffo era che lo facevano cantare fra le bambine a causa del suo tono molto acuto. Questa sua voce pulita, quasi da studio era un’assoluta novità nel panorama del rock di quegli anni. Il prototipo del cantante rock doveva possedere una voce graffiante, meglio se arrochita. Fatto importante da sottolineare è che era assolutamente autodidatta, nessuno studio, solo doti naturali ed estrema sensibilità. Il suo stesso fisico, imponente, con una folta barba non era assolutamente in linea con gli stilemi di un rock singer. Divertente quando raccontava il suo primo approccio con il Banco Del Mutuo Soccorso. Vittorio Nocenzi, allora giovanissimo tastierista del gruppo, appena formato, stava cercando un cantante. Il problema era che lo desiderava alto e biondo, l’esatto contrario di Di Giacomo, ma il provino fu talmente convincente che il posto da cantante fosse suo oltre ogni dubbio. È da quel provino che inizia una storia durata fino alla tragica serata del 21 febbraio scorso. Oltretutto c’era una certa urgenza nel voler confermare una formazione stabile. Si presentavano alla Ricordi sotto l’ala protettrice di Gabriella Ferri, e si era in vista di uno storico Festival del rock progressive alle Terme di Caracalla, che è tuttora nella memoria di molti come uno dei più importanti raduni giovanili di nuove tendenze dell’epoca. Al successo del concerto, fece seguito il primo disco dal titolo omonimo e con una particolarissima forma a salvadanaio con la scritta Banco Del Mutuo Soccorso. Questo LP oggi è ricercatissimo dai collezionisti e costa probabilmente una fortuna. In molte interviste Francesco Di Giacomo si soffermava molto sull’artwork dei dischi in vinile. Lavori curatissimi che dovevano, nelle intenzioni degli artisti, essere parte integrante dell’opera, e non solo un contenitore dalla grafica spesso avulsa, come siamo abituati nell’era del digitale. Quest’opera prima, datata 1972 impose, oltre al gruppo, la voce potente e pulita di Di Giacomo mentre le occasioni live misero in evidenza da subito la sua personalità. Sempre nello stesso anno seguì il secondo lavoro intitolato  “Darwin”, un vero e proprio concept album sull’argomento dell’evoluzione della specie di Charles Darwin.  È proprio in questi primi due album che si può notare la particolare attitudine  di coniugare il prog-rock di tradizione britannica con sonorità mediterranee e strizzatine d’occhio alla tradizione italiana del melodramma.  A dispetto di un carattere schivo, dal vivo riusciva a catturare l’attenzione in maniera totalizzante. Interpretazioni potenti, visionarie e mai uguali, perché al variare del suo umore variava anche la performance. Solo un leit motiv, la sua precisione, non credo ci sia qualcuno che ricordi una sua stecca o una sua imprecisione. Era anche il paroliere che vestiva la musica della band di allegorie, visioni e ricercatezze stilistiche. Mai un testo banale e sempre un grande lavoro di gruppo. Si partiva da un’idea, da un discorso, poi si costruiva un telaio musicale, un’armatura, e su questa, Francesco, il sarto delle parole, cuciva e tagliava un vestito su misura. Un vestito elegante ed originale. Era quello per lui, il lavoro difficile, riuscire a raccordare un’idea con una musica e un testo, senza snaturare né l’una né l’altro. Da quest’alchimia è nato questo gruppo che, insieme alla PFM, ai New Trolls, alle Orme e agli Area del compianto e indimenticato Demetrio Stratos, è stato la punta di diamante del rock italiano dagli anni ’70 in poi. Dal primo disco in poi, un fil rouge lo possiamo senz’altro identificare in una forte attenzione ai temi della pace. Il testo di “R.I.P.” brano presente nel primo lavoro, era uno dei brani più amati da Francesco Di Giacomo, e sempre eseguito in ogni concerto. Era un testo dalle fortissime connotazioni antimilitariste, aspetto che lo rende sempre attuale, anche a più di quarant’anni dalla sua stesura. Straordinario il suo rapporto con i colleghi del panorama musicale italiano. In un mondo fatto di competizione ed invidie più o meno celate, lui era  ben voluto da tutti i suoi colleghi per il suo essere antidivo, sensibile e rispettoso di tutti.  Una dolcezza ed un animo cosi gentile che rimandava al suo pubblico ricevendone in cambio un abbraccio lungo quaranta anni.cover_salvadanaio

 Fu assolutamente naturale, a un certo punto, che Francesco e il suo Banco avrebbero prima o poi lasciato il segno anche oltreconfine. Furono notati da Greg Lake degli Emerson Lake & Palmer e posti sotto contratto dalla Manticore, a quel tempo casa discografica di punta del rock progressive internazionale, nella quale era già confluita la PFM. Questo diede l’opportunità alla band di girare per il mondo a proporre la propria musica. Il primo lavoro pubblicato per la nuova etichetta fu “Banco IV” (1975), che riproponeva in inglese i migliori pezzi dei primi tre album. A seguire fu pubblicato “ Come in un’ultima cena” (1976), album che diede loro la possibilità di fare una tourneè con i grandissimi Gentle Giant, band di punta del progressive britannico e stilisticamente affini alle sonorità e alle trame del Banco.

Dagli anni ‘90 in poi, un po’ per l’affievolirsi della vena compositiva e un po’ per una perdita di interesse da parte del pubblico per questo genere musicale, le apparizioni del gruppo si sono sempre più rarefatte, anche se negli ultimi anni si assiste ad un fenomeno di ripresa e di rinnovata attenzione. In ogni caso, Francesco Di Giacomo non aveva mai interrotto del tutto la sua attività, aveva avuto però il tempo di dedicarsi ad una delle sue grandi passioni di una vita: la cucina, di cui era, allo stesso tempo, studioso, cultore ed ottimo esecutore. Si era, infatti, trasferito a vivere in campagna, nei pressi di Zagarolo, dove coltivava la sua terra e dove era riuscito ad aprire una scuola di cucina personale incentrata sulla cultura gastronomica regionale italiana. Proprio nei pressi di Zagarolo ci ha lasciato per sempre. Un probabile malore mentre era alla guida della sua auto ha provocato un incidente frontale che gli è stato fatale e che ha lasciato tutti increduli e orfani di uno straordinario musicista e poeta. Continuerà a vivere dentro di noi attraverso note e parole che continueremo ad ascoltare. Il suo funerale civile è stato come lo avrebbe voluto lui. Un pianoforte al centro della sala, Vittorio Nocenzi che suona e tutti ad immaginare la sua voce. Un brindisi finale per salutarlo e arrivederci a tutti.

A presto Francesco.

Alessandro Calafiore for Backstage Press © Copyright 2013-14. All Rights Reserved

Leave a Comment