Ed eccoci al terzo appuntamento, siamo sempre negli anni sessanta, ormai il nella rivolta totale del concetto di musica italiana. Come detto per Jannacci, ricordato nell’articolo precedente, i testi sono cambiati profondamente. La musica diventa mezzo di espressione culturale, dura e spesso ironicamente tagliente. Rimaniamo nel milanese e doveroso è parlare del grande Giorgio Gaber, il filosofo ignorante.
Nei primi anni sessanta compone le sue prime ballate come Cerutti Gino e Porta Romana, capisaldi, ancora oggi, della sua carriera.
Comincia ad apparire in televisione presentano Canzoniere minimo e Le nostre serate, per la maggior parte al fianco dell’allora compagna Maria Monti. Queste trasmissioni furono le prime ad occuparsi della musica popolare e della musica d’autore ed ebbero il merito di parlare per la prima volta di disagi, solitudine, alienazione, malinconia e della necessaria maturità che serviva per affrontare i cambiamenti socio culturali dell’epoca.
Questo genere di successo però, non giova ad altri traguardi più “sofisticati”, infatti, dal ’61 al ’67 partecipa ininterrottamente al Festival di Sanremo ma presentando brani del tutto privi di significato, senza spessore come Mai, mai, mai, Valentina o …E allora dai!, nel ’66 partecipa anche al Festival di Napoli, piazzandosi al secondo posto con ‘A piazza.
Lui stesso critica aspramente questo suo periodo nel brano Suona chitarra, scritta nel ’70.
A quel punto decide che le cose devono cambiare e nasce il Signor G che è il suo primo spettacolo teatrale, un’insieme di musica, teatro e cabaret tutto affidato a lui.
Il personaggio Signor G è solo l’inizio di una pregevole carriera, per lo più solista. Poteva uno come Gaber restare indifferente di fronte a ciò che gli accadeva attorno? Poteva non aprire gli occhi di fronte ai falsi miti che aleggiavano intorno alla borghesia e dare la sua spalla ai giovani che “solo per il fatto che sono giovani hanno ragione per forza”.
Comincia a trattare temi come il Vietnam, la Cambogia, la rivoluzione, questi sono temi su cui Gaber tornerà sempre nei suoi spettacoli. Spesso la delusione per ciò che gli accade intorno prevale, comincia a condannare aspramente la politica e nello specifico quella sinistra propensa a esaltare ogni tipo di devianza, droga compresa. Quella sinistra che lui deride in Al Bar Casablanca del 1972.
Tutto lo scontro che Gaber cerca e crea, non scade mai nel qualunquismo, è un personaggio scomodo che nn si presta ad essere strumentalizzato, che dice le cose come le pensa dal basso del suo essere, come appunto si definisce, un filosofo ignorante. Lui non sa e proprio perché non sa, proprio perché non conosce, mette in discussione tutto, per primo se stesso.
Riesce nella critica violenta, sparando a zero su tutto e tutti con Io se fossi Dio.
Su questa scia ha navigato la barca della sua carriera, la critica aspra, la verità nuda e cruda, auto ironica, spiazzante e che pone ancora oggi un sacco di domande, sempre attuale e mai scadente.
Ancora oggi, a distanza di cinquantanni, dall’inizio della sua carriera, è citato e attuale, specchio di rivoluzione e introspezione giovanile, oggetto di ricerca e di infinite cover.
Torneremo a parlare di lui, della sua carriera, intanto vi lascio qualche spunto di ricerca dei brani che lo hanno fatto elevare come simbolo ideologico.
Wanda D’Amico for Backstage Press © Copyright 2013-14. All Rights Reserved.