LUCIO LEONI – “IL LUPO CATTIVO TOUR”

Brillante e provocatorio, Lucio Leoni usa l’espediente del Lupo Cattivo per parlare di emozioni universali e concetti senza tempo, per costruire una sorta di “saggio sull’esistenza” che non porti con sé una data di scadenza. Significati e i significanti si mescolano in costruzioni logiche o illogiche, per farsi dialogo interiore o racconto.
Dieci brani originali e un’inedita rielaborazione di una canzone di Luigi Tenco, “Io sono uno”: Lucio le ha dato nuova veste, arricchendola con le parole, sempre di Tenco, estratte da un Intervento al “beat 72” su “La canzone di Protesta” (Roma, novembre 1966).

Tra gli ascolti che hanno portato la nascita del disco, lo spoken word inglese degli ultimi anni (Tricky, Riz Mc, The Streets, Ghostpoet), il teatro e la narrazione fiabesca, dove voce e strumenti si fondono (La Gatta Cenerentola di De Simone e il prewar Folk americano), ma anche il post rock con le chitarre sporche ed oblique (Slint, Karate, Tortoise) ed esteti della parola prestati alla musica, come Stromae e James Blake.

LUCIO LEONI PARLA DEL DISCO “IL LUPO CATTIVO”

Senso, suono, significato; queste le linee guida che mi hanno indirizzato dentro e fuori dagli ascolti, con un orecchio sempre aperto ed incuriosito alle realtà italiane più stimolanti (Bachi da Pietra, Uoki Toki, Giovanni Truppi) con il cuore legato ai grandi sommersi che trascinano instancabilmente la lunga tradizione dei cantori della parola (Cesare Basile, Alessandro Fiori, Paolo Zanardi, Filippo Gatti).

Per contrasto se per Lorem Ipsum, che partiva dall’Io e piantava bene i piedi a terra, mi sono affidato ad una band composta in parte da ex-musicisti (cercavo il controllo assoluto), per Il lupo cattivo, che invece parte dal noi e guarda in aria, ho mischiato le carte e mi sono rivolto ad una sezione ritmica affiatata e già collaudata che vive indipendentemente: Le Sigarette!! al secolo Jacopo Ruben Dell’Abate (chitarra  elettrica) e Lorenzo Lemme (batteria) e li ho uniti a Filippo Rea (elettronica e tastiere), Daniele Borsato (chitarra classica) e Giorgio Distante (Trombe e produzioni elettroniche). Il basso non c’è. Era troppo terreno. Il tutto come per Lorem Ipsum è stato poi mescolato da Riccardo Gamondi (Uochi-Toki) e poi masterizzato da Giovanni Versari.

Il Lupo cattivo è reale. Lo incontriamo tutti i giorni. A volte fatichiamo a riconoscerlo.

I due anni che mi hanno portato alla scrittura di questo disco sono stati anni complessi, anni di lupi cattivi, anni che mi hanno insegnato a riconoscerne tanti, molti di più di quanti pensavo ne esistessero effettivamente. Elaborare ed affrontare un lupo cattivo non è scontato, ne semplice, ma necessario al percorso che porta dalla casa della mamma alla casa della nonna, con il cestino del pane intatto.

Si impara che uccidere un lupo cattivo non è una soluzione plausibile. Si impara che il lupo cattivo è anche parte di noi e si impara a rispettare il lupo cattivo, che è bestia si ma anche noi lo siamo.

Ogni brano è un lupo cattivo diverso, ogni brano è un incontro con un aspetto diverso di una qualche paura, sconfitta, sfida, pericolo e a modo mio ho provato a raccontarli per tornare a casa, perchè le favole non si mischiano mai ma avevo bisogno di trovare un sentiero di sassi che mi indicasse la via.

“[…] Anche perchè se governassero i contadini e i signori lavorassero la terra si morirebbe presto tutti quanti di fame, ché ognuno ha le mani che si merita […]”

LUCIO LEONI PARLA DEL DISCO “IL LUPO CATTIVO”, TRACCIA PER TRACCIA

“La pecora nel bosco”: siamo tutti pecore nel bosco. Ci accompagniamo e poi torniamo soli. Ci ritroviamo e poi ci riperdiamo, convinti che almeno in due ci si possa aiutare, ma poi scopriamo che è più l’intralcio che l’amore a renderci coppia. E l’intralcio ci fa perdere ancora di più. Grazie al cielo non ci perdiamo nel nulla ma ci perdiamo nel bosco e in quel bosco troviamo tanti altri come noi che, almeno, non ci fanno sentire soli.

“Stile libero”: è difficile essere garantiti della comprensione dell’altro. Dirsi “Ti amo” ed essere sicuri che l’altro lo recepisca esattamente come lo intendiamo. Sostenersi ed essere sicuri di offrire all’altro quello di cui ha bisogno. Ma vale la pena provarci, anche nel mare, anche contro le intemperie, senza impazzire però. Imparando ad aspettare i momenti giusti, comprendendo gli spazi. Lasciandosi andare, se serve.

“Le interiora di Filippo”: nasce da una serie di messaggi notturni scambiati con un amico intorno al senso dello scrivere. Il senso della parola. L’importanza di accettare la parola e il senso che questa produce come forza generatrice e purificatrice se utilizzata con “attenzione sacra”.

Scardinando il volgare e il basso, il piccolo, puntando alle fondamenta della comunicazione rimane una sola verità: che “tocca magnasse il cuore insieme”.  E che poi alla fine, comunque “nce se capisce gnente”.

“Sigarette”: perdere qualcuno di importante. Ritrovarlo negli occhi e nei gesti di chi è rimasto e sa tradurne il valore. E’ l’opportunità di guardare a quanto resta piuttosto che a ciò che se n’è andato.

“Mapuche”: per cultura, per società, per religione o anche solo per abitudine si è abituati a pensare che “prima o poi un bambino, un figlio, si farà”.  E se così non fosse? Se invece, per mille motivi, si decidesse o non si potesse o non si volesse farlo, quel figlio? Allora lì, chi fa il mestiere di scrivere canzoni ci rimane male, perchè una delle cose belle da fare è scrivere una ninna nanna al proprio “ erede”. Io l’ho scritta ugualmente. Rovesciandone le parti, chiedendo a lui di cantarla a me. Chiedendo a lui di usare la fantasia per farmi addormentare. I Mapuche sono una popolazione cilena, l’unica tra le molte, dell’America Latina, a resistere ai tentativi di colonizzazione dei conquistadores spagnoli e che oggi sono di nuovo in guerra contro chi sta tentando di rubare le loro terre.

“Perchè non dormi mai”: Eh? Perchè? Perchè siamo soggiogati da malattie che abbiamo inventato noi? Ansia, stress, attacchi di panico, depressione. Di tante cose che volevamo o potevamo, ci ritroviamo quasi sempre nei mali. E ci perdiamo sempre nelle stesse scemenze.

“Niente di male”: le attrazioni, gli sguardi, le farfalle nella pancia e poi l’etichetta che va superata e distrutta per farsi finalmente del bene e concedersi, una volta tanto, anche l’errore. In fondo l’amore eterno non è detto che esista più.

“Impossibile essere possibile”: i Vonneumann, un’incredibile band di Roma, mi ha proposto una collaborazione facendomi ascoltare una loro composizione e dandomi un titolo “impossibile essere possibile”. Da qui in poi un puro e limpido delirio di onnipotenza e flusso di coscienza mi ha portato dai problemi di comunicazione interni a quelli esterni, da quelli umani a quelli tra uomo e macchina, per finire a quelli tra macchina e divinità. E’ un testo impossibile. Ma, se esiste, vuol dire che è possibile. E allora è impossibile essere possibile. O viceversa.

“Piccolo miracolo”: troppe relazioni, troppe verità, troppe distrazioni, troppe libertà. Dimenticandosi di guardare con attenzione a cosa serve veramente e quotidianamente. Piccoli gesti di incredibile generosità spontanea.

“Io sono uno”: questa è la rielaborazione di un bellissimo brano di Luigi Tenco, in cui il cantautore ci racconta un po’ di sè. Ho pensato potesse essere interessante prenderlo ed arricchirlo con altre parole sue, prese da un altro contesto, estratte da un Intervento al “beat 72” su “La canzone di Protesta” (Roma, novembre 1966).

“Il lupo cattivo”: la quadra del tutto. L’indagine su “chi è, cos’è e dov’è”, la scoperta che lo siamo anche noi. Capirne il bene e il male. Accettarlo. E accettare che, se viene la notte, ci mangerà.

LUCIO LEONI – BIOGRAFIA

Lucio Leoni nasce a Roma nel 1981 e lì ci rimane, fatta eccezione per una parentesi statunitense.

Fin da piccolo dice di amare la musica, così la madre lo iscrive a una scuola di chitarra classica. A dodici anni si ribella al concetto di “studio disperato” e lascia tutto, in nome del calcio. Capisce presto di essere scarso e rinuncia alla carriera sportiva: a diciassette anni parte per gli Stati Uniti, dove frequenta il penultimo anno di liceo e riscopre l’amore per la musica. Torna a Roma nel 2000 e forma la band di happy rock’n’roll “Yugo in Incognito”. Si occupa dei testi e della voce, pubblicando, nell’arco di dieci anni, un disco e due ep: Puppurri (2003) “C’hai nis demo-cracy” e Uomini senza gomiti (2013).

Si laurea in Scienze dello spettacolo alla Sapienza di Roma, con una tesi su “voce e drammaturgia in teatro”, e poi in conservatorio dove frequenta il corso di Musica Elettronica. Negli anni dell’università prova a fare l’attore, ma, dubbioso rispetto al proprio talento, rinuncia anche alla carriera teatrale.

Nel 2005 fonda lo studio di registrazione “Monkey Studio”: si occupa di numerose produzioni, accogliendo un gran numero di artisti. Diventa in tutto e per tutto un sound engineer. Contemporaneamente, inizia a suonare con gli Scolapasta Vintage, eccentrica band indie rock, e fonda, nel 2007, i Meccanica Ferma, sestetto elettroacustico votato alla ricerca. A ventotto anni compie un primo bilancio della propria carriera: nonostante il rifiuto della chitarra classica, la musica è quello che sa e ama fare.

Nel 2009 apre il Live Club “La Riunione di Condominio”, locale culto della scena musicale romana: il club, come ogni mito che si rispetti, muore giovane.

L’esordio come cantautore avviene nel 2011, sotto il nome di Bucho: l’album si chiama “Baracca e Burattini” ed esce solo come musicassetta. Nel 2015 esce per Lapidarie Incisioni “Lorem Ipsum”, il primo album firmato Lucio Leoni, che viene recensito  con entusiasmo dalle principali testate nazionali, come l’Unità o Il Fatto Quotidiano, o di settore, come Rumore, Vinile, Rockerilla e, sul web, Rockit, Rockol, Ocanerarock e Musictracks.

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