“RICORDI”, GLI ANNI SESSANTA?

Gino Paoli
ph Alessandro Tocco

La storia insegna e su questo non ci piove, gli errori fatti in passato tendono a ripetersi, ergo, se la storia non si studia, non si sviscera, difficilmente si potrà imparare a non commettere gli stessi errori.

Nel 2014 nonostante il “tutto a portata di mano” non abbiamo nulla, siamo privi di ogni base, economica e culturale, essenziale per apprezzare ogni bellezza. Non ci mancano i mezzi per averla, sia chiaro, ma, semplicemente, ci crogioliamo nel non sapere che a volte pare sia meglio dell’avere il quadro chiaro delle situazioni che possono, poi, portarci a capire.

La mia introduzione a questa rubrica non è casuale e non sono le elucubrazioni mentali di una che pensa si di sapere troppo, piuttosto, i pensieri di una che ha deciso che, per apprezzare tutto ciò che il panorama italiano può offrirci ora, sia necessario conoscere ciò che ci ha preceduto: situazioni, tempi, episodi, vita.

L’Italia, musicalmente parlando, ha un passato di tutto rispetto e cosa più incredibile, ciò che conosciamo con certezza oggi, ha faticato a mettere radici.

Quello che voglio fare con voi e per voi è ripercorrere tempi non molto lontani, di autori, musica, artisti e situazioni che, nel tempo, sono cambiate e che hanno fatto la storia.

Andremo a cercarlo negli uffici della Ricordi, siamo nei primissimi anni ‘60, Nanni Ricordi e Franco Crepax gestiscono la casa editrice Ricordi, pronta a fare il salto, da casa editrice ad etichetta discografica, pronti ad intraprendere quest’avventura, piena di entusiasmo e un pizzico di pazzia si buttano sui testi di alcuni emergenti. In quegli anni il cantautorato non esisteva, da un lato c’erano i testi, dall’altro la ricerca di un interprete adatto, la cosa richiedeva troppa pazienza e troppo lavoro. Sulla scrivania La gatta, Arrivederci, Non arrossire, testi audaci, diversi da quelli che avevano tenuto banco fino allora e che con ogni probabilità avrebbero trovato il consenso del pubblico.

Novità per novità, decidono che, invece di perdere tempo a cercare un interprete adatto al testo, siano gli stessi autori dei testi ad interpretare i brani, fu così che Tenco, Gino Paoli, Bindi, De Andrè, Lauzi ed Endrigo, mettendo il piede negli studi della Ricordi entrarono a far parte dei pilastri della musica italiana e fu così che nacque il cantautorato.

Il periodo non è dei migliori, effettivamente i testi sono tristi, ma il cantautorato fa sì che la tristezza sia autentica e vera, interpretata dagli stessi che l’hanno vissuta, Non si scrive di fantasia, ma di vita vera, gli autori sviscerano i loro più neri pensieri, ahimè spesso troppo veri, in generale gli anni Sessanta vengono descritti come allegri e spensierati, ma il dolore dei cantautori sopracitati è reale, tant’è che Gino Paoli tenta il suicidio nel 1963 e, come ben sappiamo, Tenco, mette fine alla sua vita, proprio durante il Festival di Sanremo, nel 1967, ecco il dolore autentico!

Ad aggravare una situazione già precaria ci si mette anche la critica, i giornali ne scrivono di tutte i colori: di Endrigo scrivono che “crea composizioni incolori, musicalmente confuse, che richiamano canti chiesastici con l’unico risultato di avere delle canzoni anemiche adatte ai chierichetti” (Tv Sorrisi e Canzoni 1961).

Ancora di Tenco di legge “ Oggi il mondo della canzone più che da dilettanti è dominato dai velleitari, il caso-limite è rappresentato da Tenco che imita palesemente Nat King Cole, ha dell’intonazione un concetto personalissimo e stravagante”(Dalla rubrica Dischi nuovi 1961).

Riuscire a far accettare il cambiamento è stata dura, molto dura, anche dal punto di vista musicale e degli arrangiamenti. Cambiano anche quelli, i nuovi interpreti della musica italiana, hanno come riferimento il jazz, il blues e la canzone francese, la musica diventa un pozzo liberatorio, dove immagazzinare tutto ciò che non è ancora stato detto, loro hanno il mezzo e decidono di sfruttarlo. Sparisce il solito crescendo nell’attesa del ritornello, i brani cominciano a dominare da subito, la parte cantabile in “giro di do”, apre il brano e s’insinua da subito, non c’è niente da aspettare, e poi scende su accordi di bemolle creando sfumature mai sentite e del tutto innovative. I brani sono recitati considerando che cominciano a cambiare anche gli interlocutori, non c’è più un approccio generico, ma un soggetto preciso, una compagna, un oggetto, un luogo, un pullover.

Parlare della storia musicale in così poche righe non è facile, ma ritorneremo su episodi e scene, in modo più approfondito nei prossimi articoli.

Wanda D’Amico for Backstage Press © Copyright 2013-14. All Rights Reserved.

Leave a Comment