NEGRITA, non puoi mettere in gabbia un’aquila

Venticinque anni di carriera, festeggiati con un tour che dura un intero anno. 

Venticinque anni sono un bel traguardo per una band italiana, siamo riusciti a fare tanti anni di attività sempre e comunque a modo nostro. In questi anni abbiamo pubblicato dieci album di inediti ed abbiamo fatto una miriade di altre cose. Questo tour sarà suddiviso in tre diverse tranche. 

La prima a maggio partirà dai teatri ed avrà un attitudine teatrale. 

La seconda in estate luglio-agosto, vedrà un’altra ventina di date nelle quali proveremo a fare un esperimento – per la solita filosofia che ci piace cambiare le carte in tavola – partiremo con un atteggiamento teatrale e poi piano piano durante i concerti uscirà fuori la rock and roll band. 

Durante la terza, verso novembre-dicembre, ci sarà una sorpresa della quale attualmente non posso parlare che sarà condizionata da un qualcosa che accadrà a fine estate. 

Dopo venticinque anni di attività pensiamo di poterci permettere di non annoiare il nostro pubblico e di far si che esso possa scorgere diversità in ognuno dei nostri concerti. Saranno tre tranche tutte diverse tra loro e strutturate in un modo molto intelligente.

Possiamo definirvi una  band di rockettari?

Diciamo che l’attitudine è nel rock, anche se negli anni abbiamo fatto molte cose. Siamo rock sui generis nel senso che abbiamo iniziato con musica che all’epoca si chiamava crossover. Negli anni novanta in ambito rock per la prima volta si mischiavano i generi. Si passava da ritmiche prettamente rock, al funcky con sopra del blues.

Siete sempre stati definiti non catalogabili nel panorama rock italiano.

Diciamo un pò sfuggenti. Nel corso degli anni abbiamo inserito nel nostro sound tantissimi altri generi. Abbiamo suonato pop, abbiamo suonato reggae, abbiamo suonato un pò tutto.

Tutto questo vostro esser non catalogabili è dovuto anche ai vostri viaggi in America?

Non solo, visto che abbiamo viaggiato tantissimo. In realtà abbiamo registrato anche in Irlanda, in Giappone e in tutta Europa, ma è ovvio che le due componenti più importanti sono state il Sud America ed il Nord America. Siamo un po’ zingari della musica ed è proprio la nostra curiosità innata che ci porta a cambiare sound in ogni disco. Siamo fatti così ad un certo punto ci scocciamo.

Quindi bisogna sempre cambiare?

Il nostro primo singolo si chiamava “cambia”, è stata una dichiarazione d’intenti alla quale ci siamo attenuti, siamo stati fedeli. Questo nostro continuo cambiare è stato un tocca sana per la nostra salute mentale ma per un ragionamento più speculativo, più discografico, non è stato sempre semplice.

Anche per la salute mentale di chi ascolta?

No no solo di chi compone.

Se hai un pubblico che ti ascolta per un certo tipo di musica, rivoluzionare il tutto può farti prendere anche qualche schiaffo.  Se avessimo dovuto fare sempre lo stesso disco avremmo smesso di fare i musicisti tanti anni fa. Prima del successo abbiamo bisogno di esplorare, di tentare, di fallire. Crediamo che tutto ciò faccia parte di una scuola di vita.

Come può un gruppo rock esibirsi in teatri?

Non è la prima volta, già nel duemilatredici abbiamo fatto sessantacinque date nei teatri ed abbiamo pubblicato anche un disco con delle versioni arrangiate in semi acustico. 

Quindi dopo sei anni, visto che ci eravamo divertiti tantisismo per questo venticinquennale abbiamo deciso di riprendere anche cose che avevamo lasciato li. In una tournèe teatrale all’inizio della serata sembra sempre che il pubblico debba assitere ad un concerto classico, serio, in cui c’è silenzio, i musicisti son seduti, vestiti eleganti con una scenografia adatta al luogo, in realtà poi si finisce sempre a “tarallucci e vino”. Sugli ultimi pezzi la gente si alza, comincia ad avvicinarsi al palco e la serata pur essendo semi acustica riacquista la sua natura rock.

Quindi vi definite dei rockettari seri (scherzando).

No non ho mai detto questo.

Non sappiamo nenache più come definirci. 

Dalle facce sembrate un tantino cattivi.

Se ci incazziamo diventiamo anche cattivi, ma tendenzialemente siamo molto ironici e giocherelloni. Siamo toscani e quanto ad ironia ne abbiamo da vendere.

Con il brano “i ragazzi stanno bene” avete partecipato al Festival di Sanremo. Una scelta voluta oppure nata per gioco?

Ci hanno chiamato a Sanremo nelle ultime due-tre edizioni. Lo scorso anno eravamo impegnati nella realizzazione di un disco e non avevamo proprio la testa. Volevamo fare il nostro tour e così abbiamo fatto. Quest’anno abbiamo deciso di partecipare non solo per la ricorrenza del venticinquennale ma anche per il fatto che il tour era ormai finito e che tra le mani avevamo comunque nuovi pezzi.

In realtà volevamo uscire con un best importante, un doppio che cercasse di raccontare i Negrita in questi venticinque anni di carriera. Abbiamo pensato di partecipare a Sanremo per festeggiare questo compleanno perchè offre una platea enorme e visto che “i ragazzi stanno bene” è un brano che nasce già con un arraggiamento di archi, ci siamo detti: abbiamo un’ orchestra gratis, portiamola.

Voi non amate stare a casa

Veniamo dalla provincia, che può essere bella quanto vuoi però dopo un po’ cominci a vedere sempre le stesse facce, sempre lo stesso mood, sempre lo stesso ambiente.Ti scoccia. Forse inizi a fare il musicista anche per questo.Hai bisogno di conquistare la tua fetta di mondo. Per capire chi sei hai bisogno di rimboccarti le maniche ed andare in giro prima per l’Italia e poi per il mondo. 

Nonostante abbiamo famiglia, figli splendidi e che amiamo dopo quindici giorni che siamo a casa cominciamo a scalpitare. E’ la nostra natura. Non puoi mettere in gabbia una aquila.

Oltre la musica, anche cinema.

Abbiamo lavorato su tre film in tutta la nostra carriera, ma il boom cinematografico è stato con i due film di Aldo, Giovannie Giacomo. Su “tre uomini e una gamba” in una scena di flash back molto particolare, col brano “Ho imparato a sognare”.

Nel film successivo “Così è la vita” abbiamo curato, invece, tutta la colonna sonora ed è stata un esperienza bellissima. Una commedia ‘on the road’ e quindi c’è stato bisogno di un certo tipo di musica, musica che spingeva.

E teatro, con il musical Jesus Christ Superstar.

Si nel 2014 abbiamo fatto Jesus Christ Superstar, unico musical che abbiamo mai ascoltato in vita nostra, anche perché come forma musicale non ci entusiasma più di tanto.

Nonostante Jesus Christ Superstar è un musical del 72 ha una colonna sonora pazzesca. Il cantante che interpretava Gesù Cristo nella versione del 72 era Young Dylandei Deep Purlple, poi dopo è arrivato Ted Neeley.

Io interpretavo Pilato  ed il resto della band suonava tutta la musica dall’inizio alla fine è stato molto bello. Ted Neeley era entusiasta di noi, lui ha fatto fino ad oggi più di 4000 repliche e non posso dimenticare il fatto che  lo stesso mi abbia definito il miglior Ponzio Pilato mai trovato in tutta la sua carriera. Non c’è medaglia o premio che possa essere pari ad un complimento fatto da un personaggio come lui.

Ti definiresti un Ponzio Pilato della musica?

No non credo, perché io non giustizio nessuno, nel musical ogni sera ammazzavo un Cristo, nella musica no.

Siete più voi giornalisti dei Ponzio Pilato. Io l’ho interpretato giusto li, poi per il resto ho un altro tipo di carattere. Come tutti ho le mie preferenze ed i miei gusti – riguardo la musica – ma non lo dico in pubblico. Diciamo che sono molto democratico, mi piacciono tanti generi, con i Negrita ne abbiamo affrontati tanti, va da se che non possiamo essere troppo discriminanti, non abbiamo paraocchi a riguardo.

Bisogna stare sempre a passo con i tempi?

Eh si, ma sono i tempi che non sono a passo con noi.

Perché sono troppo avanti o troppo indietro?

Di lato.

Eldorado, Che rumore fa la felicità, Ho imparato a sognare, L’uomo sogna di volare, Paradisi per illusi…siete sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Secondo voi anche l’uomo in generale dovrebbe fare questa cosa? Da parte vostra è un monito, un input per regalare all’uomo questi sentimenti che ormai sembra aver perso perchè chiuso nella sua realtà? Siete molto profondi, nonostante siete rockettari cattivi.

Non siamo cattivi per niente, siamo bravissimi.

Cerchiamo semplicemente di raccontare noi stessi. Raccontiamo le cose che non ci piacciono, quelle che vediamo, quelle che amiamo molto. Cerchiamo sempre di affondare il colpo, nel senso che non vogliamo scrivere tanto per scrivere, ma ogni volta che scriviamo qualcosa cerchiamo di aggiungere: un pezzo di vita, una speranza, cercare di uscire da una situazione sbagliata.

Questo è il nostro modo di intendere la musica anche perché veniamo da una generazione in cui la stessa parlava di argomenti seri, importanti. Adesso se ascolti i testi degli sbarbati molto spesso si ritrovano “minchiate” con contenuti decisamente diversi dai nostri.

Può succedere che ci sentiamo dire dai giovanissimi: – Tu sei vecchio e non li capisci. Rispondo: – No io sono vecchio e li capisco meglio di te.

Questa è una battuta, in realtà abbiamo un’altra scelta stilistica ed un altro background ed è ovvio che raccontiamo il mondo con il nostro linguaggio e qualche volta magari abbiamo la presunzione di voler raccontare agli altri certe sfaccettature della vita che forse qualcuno, preso dalla propria quotidianità, dai propri problemi, si dimentica che si dovrebbe imparare a dare un po’ di attenzione anche a determinate cose. Per fortuna, noi, abbiamo un pubblico che recepisce e quindi siamo contenti.

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