“La ricetta contro il male”. Quali gli ingredienti per “curare” o ancor meglio “sconfiggere” il male?
Esistono molti “mali”. Quello a cui mi riferisco nel mio ultimo singolo è il male dell’omologazione. La libertà volgare. Quella sensazione di godere del libero arbitrio, quando invece siamo soltanto ciò che la libertà vuole, per citare Giorgio Gaber. La ricetta è la riscoperta della propria individualità, da non sovrapporre con il concetto, ben più insipiente e pericoloso, di individualismo.
Il singolo fa parte di un progetto più ampio “Breviario di teologia dadaista”. Ci parli di questo lavoro?
“Breviario di Teologia Dadaista” è il mio ultimo disco. Un concept album. Si tratta di una rivisitazione della Bibbia in chiave contemporanea. Cosa sarebbe successo se i fatti raccontati nelle Sacre Scritture si fossero verificati oggi? Il risultato sono situazioni a volte buffe, altre tragiche, spesso grottesche. Ne emerge, in ogni caso, il quadro di una umanità che per andare avanti disperatamente sempre e comunque, troppo spesso si autoassolve sbrigativamente.
Ti autodefinisci capo dei dadaisti. Che peso dai a tutto ciò che è razionale? E quale invece a ciò che è istintivo?
Non credo che razionalità ed istinto siano concetti antitetici. La razionalità mi piace. Nel teatro, tutto ciò che si trova in scena deve sempre avere un senso. Credo che il concetto possa estendersi anche alla vita stessa. L’istinto, invece, è la conseguenza di forze ataviche ed ancestrali che vivono dentro di noi. Qualcuno dice che la cultura è la somma delle esperienze del genere umano nel corso dei secoli. Ecco, credo che allora l’istinto sia a volte la magnifica esplosione della cultura dell’uomo senza vincoli.
L’album è anche un tour. La bibbia ai giorni nostri, cosa deve aspettarsi lo spettatore che arriva ad un tuo concerto?
Nei miei spettacoli può sempre accadere di tutto. Nel 2019 ho persino finto la mia morte sul palco, in Piazza degli Scacchi a Marostica (Vi). E’ intervenuto il personale medico per tentare di rianimarmi, finché Il Drugo Arcureo, mio complice e sodale, non è comparso vestito da Gesù chiedendo agli infermieri di fargli spazio per tentare, lui, una rianimazione come si deve.
Oltre che un viaggio istintivo è stato anche un viaggio di scoperta musicale con l’utilizzo di strumenti inusuali. Ci parli di questo aspetto?
L’unica appartenenza che avverto autenticamente è quella alla mia weltanschauung. E’ per questo che i miei brani sono sempre, per così dire, “alla Porfirio Rubirosa”, indipendentemente dal genere e dagli strumenti utilizzati. Con l’ultimo album ho voluto estremizzare al massimo l’esperienza di diversificare mantenendo una unità concettuale monolitica e tetragona.
A cosa sta lavorando, adesso, Porfirio?
Sono a buon punto con le incisioni del mio nuovo album. Ci sto lavorando con Il Drugo Arcureo, il mio bassista con il quale da anni porto avanti, in studio e live, un sodalizio artistico pieno di soddisfazioni. E con Fabio Merigo, il mio nuovo produttore artistico, che dopo Reggae National Tickets, Tricarico, Giuliano Palma & The Bluebeaters e molti altri, ha scelto di mettere la sua straordinaria esperienza al servizio di Porfirio Rubirosa.
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