“Whizz Bang!!! E’ questo il suono di due mondi in collisione fra loro?” Si chiede questo Julitha Ryan nel presentare il nuovo disco “The Winter Journey” in uscita il 20 febbraio nel nostro Paese per Atelier Sonique, anticipato dal singolo “Bonfire” disponibile a breve. Alla pubblicazione seguirà un tour che la songwriter australiana compirà lungo lo Stivale nel mese di marzo.
Il secondo lavoro della Ryan, all’insegna di un pop pianistisco maestoso e fluttuante, nasce lungo l’asse Australia-Italia grazie alla collaborazione con Giovanni Calella (Adam Carpet, Kalweit and the Spokes), che ha prodotto le otto tracce del disco e suonato chitarre, mandoli ni, synth e basso, mentre il resto degli strumenti è stato affidato a una local band tutta italiana formata da Pier Adduce (chitarra) ed Enrico Berton (batteria) dei Guignol, Massimiliano Gallo (violino) e Henry Hugo (chitarre, mandolino e steel guitar), che accompagnerà Julitha anche nel tour. Ecco le date sino ad ora confermate:
11 mar – Arci Orchidea, Santa Margherita Ligure (GE)
12 mar – Ligera, Milano
15 mar – Aurora Live, Livorno
16 mar – Scumm, Pescara
17 mar – Freadom, Battipaglia (SA)
18 mar – il Progresso, Firenze
20 mar – Il Fico, Cremona
24 mar – Arci La Loco, Osnago (LC)
25 mar – In Disparte, Bergamo
“The Winter Journey” arriva a quasi cinque anni di distanza dal precedente “The Lucky Girl” e segna un’evoluzione del Julitha-sound. L’inserimento di parti elettroniche, spesso liquide e psichedeliche, regalano maggiore lucentezza ai brani, tutti costruiti attorno al pianoforte e alla voce della titolare, già al lavoro con il trio strumentale Silver Ray e con la versione australiana dei Fatalists di Hugo Race. E’ proprio questa la collisione, feconda e spesso inattesa, fra due mondi sonori provenienti dalle stesse radici musicali che hanno poi preso percorsi diversi: da una parte quello di Julitha Ryan, eccentrico, quasi cameristico e molto intenso, una versione del tutto autonoma del songwriting aussie; dall’altro il suono elettrico, folk, post-punk, elettronico dei suoi compagni di viaggio europei.
Grazie alla complicità di questi ingredienti emerge la personalità multiforme di Julitha Ryan, che si destreggia fra una ballata sinuosa come “Bonfire”, i puntelli simil-metallici di “Like a Jail”, le personalissime visioni blues che animano “Woman walks her cats” e le quadrature di pianoforte di “Zeehan”. Per poi concludere l’opera con la lunga e ammaliante peregrinazione di “There is no turning back”.
Il tutto forma una suite di otto brani senza cali di tensione, tutti ispirati, racconta Julitha, “by impotence and sadness in the post-romance of our dystopian present”. Tracce che vengono sorrette da quello che lei chiama “Milano grooves” e si dispiegano fra brucianti chitarre elettriche, pedal steel polverosi, sintetizzatori dolcemente sognanti, archi, ottoni e cori interamente maschili.
Sacerdotessa di un rave spirituale, onirico mezzosoprano di un angusto cabaret metropolitano, regina di una Barrelhouse che al termine dell’ultima canzone crolla inerme sul suo pianoforte, Julitha Ryan è questo e molto altro. Una musicista capace di mettersi a nudo e ghermire il pubblico con il suo potere trascendente portandolo in un altrove ammaliante. Qualcuno ha definito le sue canzoni “groovy hallelujah music; soulful, howling but effortlessly graceful”. E ad ascoltare “The Winter Journey” pare proprio che questa definizione calzi a pennello.
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